Un piccolo Egitto lecchese
Il mistero delle piramidi di Montevecchia
[Uff. Prof. Alessio Varisco – Direttore Antropologia Arte Sacra]
MONTEVECCHIA – Si trova nel cuore della Brianza, tra Lecco e Milano. Qui si respira natura, storia e misteri: la verde Montevecchia dalle antiche origini offre paesaggi collinari e conquista subito l’anima di chi vi si sale, alla ricerca di armonia e tranquillità. Un borgo che è una terrazza da cui è possibile ammirare uno skyline mozzafiato sulla piana sottostante su cui svetta Milano con i suoi grattacieli e l’arco appenninico coronato dai massicci alpini.
«Quella delle terrazze di Montevecchia è tra le più belle posizioni della Brianza: uno spalto altissimo, un balcone che si erge, fuori dalle nebbie, e si affaccia dritto a sud; nelle giornate di vento si vede dalla Cisa al Monte Rosa. Alti monti la difendono dalle tramontane. Le brume, le nebbie, che salgono dalle pianure e dai laghi la sfiorano fruttuosamente: è chiaro, oramai, che il vino più delicato e squisito deriva sempre da uve mature al limite estremo delle condizioni climatiche e geoponiche necessarie alla vite». Questa la descrizione dello scrittore Mario Soldati che così descrive Montevecchia cogliendo, nelle sue poche righe, le bellezze che catturano la vista dello spettatore che la visita.
Pensando alle piramidi ci si immagina l’Egitto, i faraoni, antichi segni ed alfabeti -i cosiddetti geroglifici egiziani-, il fascino delle sfingi, la sabbia del deserto, un mondo denso di simboli e culti determinatosi nella valle del Nilo.
A dire il vero pensando a quelle terre penso al limo da cui si determina la creazione delle cose, gli stessi canneti di alcuni biotopi delle terre briantee attraversate dal Lambro e dall’Adda. A mezza strada dai due grandi fiumi di quest’area -che la rendono una terra ricca e rigogliosa- sta, maestosa ed erta sull’area valliva sottostante che da Lesmo inizia ad innalzarsi verso le Prealpi, la fantastica Montevecchia, gioiello geologico, esempio agrologico, borgo dagli scenari fantastici. Da tempo ascendere a Muntavégia significa ergersi dalla piana, nelle giornate di sole terso a primavera, o dopo un temporale settembrino è possibile scorgere non soltanto la metropoli -con la svettante “Madunina”, l’Unicredit tower, Torre Velasca e Torre Pirelli-, ma persino gli Appennini e la Corsica, a chiudere il Mar Ligure. La forma della collina è davvero insolita e particolare perché riporta tre piramidi a gradoni, con il medesimo orientamento e inclinazione di quelle egizie, che si stagliano dalla parte inferiore e si erigono, nascoste dalla vegetazione, quasi a celarne il mistero: da tempo le osservavo dalla pianura chiedendomi come mai quella regolarità dove i lati, così come la pendenza, le rendono identiche a quelle di Giza. La domanda, quindi, mi assale: una mera coincidenza? La risposta pressoché scontata che nulla è lasciato al caso e che risulterebbe quasi impossibile in natura trovare simili strutture così identiche tra loro. Orbene, il mistero che si sprigiona è davvero incredibile: ci troviamo dinanzi ad un unicum dove queste colline apparirebbero come come veri e propri manufatti piramidali.
Così la Val Curone, una valletta che sorge a una ventina di chilometri da Lecco e una quarantina da Milano -oggi esiste a tutela di un’area di interesse naturalistico davvero incredibile il Parco Regionale di Montevecchia e della Valle del Curone-, cela il “mistero delle piramidi brianzole” che -con le sue anomale formazioni collinose- ricorda le magnifiche tre site nella Piana di Giza in Egitto. Un occhio attento si rende subito conto che la regolarità è certamente anomala, apparentemente sembrerebbero tre semplici colline, ma all’osservazione satellitare emergono particolari davvero enigmatici: l’atipica regolarità di queste colline moreniche e soprattutto il posizionamento che rimanda alle tre stelle della cintura di Orione.
Nell’area della Valle del Curone, nella Brianza lecchese, si possono ammirare delle insolite colline dalla forma piramidale, estremamente regolari. Si tratta di un’area collinosa che si erge con delle piramidi a gradoni, la cui altezza varia tra i quaranta e i cinquanta metri.
Quest’area piramidale sorgerebbe per scopi religiosi e non per finalità agricole -classici terrazamenti come le Cinque Terre-, queste strutture sono state realizzate proprio su terreni incoltivati. Pertanto, l’area doveva essere un sito templare, se non addirittura santuariale, impiegato dai Celti che abitavano le terre briantee. Ricordo che non molto distante vi è l’antica “stella di Guidino” -oggi non più ritenuto un asteroide o un frammento di meteorite, bensì un masso erratico che sorge nell’omonima località di Sasso del Guidino a Besana in Brianza ed è “Monumento Naturale Regionale del Sasso del Guidino”1-. Analogamente anche gli egizi creavamo sempre un filo conduttore tra il cielo e le loro piramidi, per consentire ai defunti di ritrovare la via di casa.
Dunque le piramidi di Montevecchia ricordano le classiche della necropoli di Saqqara, in particolare quella del faraone Zoser che è considerata uno dei più grandi monumenti dell’antico Egitto, a noi giunti. L’incredibile scoperta è stata fatta dall’architetto Vincenzo di Gregorio diversi lustri fa, interessando in primis gli amanti del mistero. Sarebbe stata un’antica civiltà a modellare le colline di roccia calcarea formandone i gradoni che si possono intravedere ancor’oggi, determinandone così l’aspetto piramidale regolare, tipico dell’arte egizia.
Ciò che sconcerta è che nella zona sono state rinvenute alcune tracce di uno dei più antichi insediamenti preistorici in terra lombarda. Appare evidente che la piramide centrale -chiamata “Belvedere Cereda”- potesse essere un sito astronomico già utilizzato dalle popolazioni Celtiche, precedentemente al dominio dell’Impero Romano.
Dunque, all’interno di un parco regionale, si possono trovare queste piramidi briantee che risultano custodite in una delle tappe dei percorsi naturalistici dell’area -quello del cosiddetto “dei Prati Magri”- che può essere agevolmente percorso sia piedi o in bici.
Numerosi gli esperti di geografia misterica o geometria sacra, che parlano di antichi astronauti che avrebbero edificato –o una civiltà precedenti alla nostra– afferma che le tre piramidi sono allineate alla cintura di Orione e perpendicolari tra loro. Ecco un altro vero mistero, considerando il movimento apparente delle costellazioni rispetto alla Terra, soprattutto riferito alla dimensionatura che si è determinata nell’arco dei millenni. Queste caratteristiche sono, forse, indici della misteriosità delle piramidi montevecchiesi che risultano simili, per allineamento e dimensioni a quelle di Giza. Certamente si può aprire una riflessione sul mistero delle piramidi egizie e in gran parte di come gli Egizi le edificarono, scoprendo inquietanti suggestioni che riguardano misteriose civiltà precedenti o addirittura antichi astronauti, di cui ovviamente nessuno è in grado di produrre prove oggettive.
Si ipotizza semplicemente che queste colline briantee siano state modellate in epoca celtica; tale ipotesi si può dichiarare alla luce dei numerosi indizi trovati nei sopralluoghi effettuati e dai diversi scavi nelle aree limitrofe. Possiamo notare negli antichi insediamenti celtici una cerchia muraria difensiva, di pietre, con un’altezza di circa quattro metri. Questa era la modalità architettonica delle popolazioni celtiche, che intendevano proteggere zone e strutture, a loro detta, ritenute vitali.
All’interno dell’area muraria, nell’omphalos sorgeva un’area santuariale dedicata ad una delle loro divinità; si ipotizza che una di queste tre piramidi sia stata deputata ad osservatorio ed anche tempio. Sappiamo che una delle scienze più antiche fu proprio l’Astronomia, pertanto sarebbe ipotizzabile che queste strutture potessero fungere da enormi gnomoni, così come Stonehenge e altre strutture antiche che erano luoghi di osservazione e impiegati soprattutto durante i periodi equinoziali e solstiziali. A riprova di questa nostra asserzione il rinvenimento nelle vicinanze di un enorme monolite di granito, che confermerebbe la presenza Celtica e la dedicazione dell’intera collina ad area santuariale.
Il borgo vede le sue origini in epoca romana, fu l’antica sede di una torre di segnalazione su cui oggi, invece, sorge il Santuario della Beatissima Vergine del Monte Carmelo. Tale funzione di protezione risulta anche nel toponimo “Mons Vigiliarum”, monte-vedetta, che si è poi evoluto in “Montaegia”, poi “Montavegia”, sino ad arrivare all’attuale nome.
Nel corso del tempo la torre ha perso d’importanza, divenendo in epoca longobarda parte di un nuovo tempio cristiano, consentendo così il costituirsi graduale di un nuovo demico. Sul suo suolo si alterneranno diverse dominazioni: prima sotto i Visconti e poi gli Sforza -nel Ducato di Milano-, poi sotto gli Austriaci, in seguito gli Spagnoli sino a quando nel 1746 tornerà nelle mani del popolo austriaco. Montevecchia inizia una nuova fase con l’unità d’Italia che la vede legata a torna-filo al settore agricolo, in questa fase abbiamo le maggiori trasformazioni del territorio che rendono il paesaggio ancora più caratteristico, con particolari lavorazioni in ambito anche vitivinicolo.
Oggi è una preziosa risorsa per la zona, tagliata dal torrente Curone, sede di una biodiversità florofaunistica rarissima nel panorama italiano e di rilevante interesse ambientale: si pensi che troviamo il gambero di fiume, come il tasso, le salamandre e diverse specie di scoiattoli. Il suo territorio coincide con lo splendido Parco Regionale di Montevecchia e la Valle del Curone, sull’area sommitale alto della collina di Montevecchia si erge l’importante Santuario della Beata Vergine del Monte Carmelo, dalle origini medievali. L’edificazione di questo edificio è attribuita alle popolazioni longobarde che, difatti, la dedicarono a San Giovanni Battista, santo a cui erano particolarmente legati -l’analogo di San Martino per i Franchi-. Quella semplice cappella nel 1564 assurge a parrocchia e nel tempo venne ampliata con la realizzazione di un campanile -peraltro sul punto dell’antica torre di avvistamento- e di un annesso casa che divenne la cosiddetta “canonica”. L’antica parrocchia è divenuta tra il 1928 e il 1930 Santuario mariano consacrato alla “Madonna del Carmelo”, che viene celebrata durante la Festività della Regina di Sion -nel Martirologio Romano si celebra il 16 luglio-.
Gli edifici di maggiore pregio che meritano attenzione abbiamo diverse ville della prima metà del XVIII secolo: Villa Vittadini, che sorge sulla cresta della collina, attorniata da un bosco di cipressi e Villa Agnesi- Albertoni, a settentrione dello storico Santuario in cui la nota matematica Gaetana Agnesi scrisse le migliori pagine di storia della ricerca.
NOTE:
1 Il “Sasso di Guidino” è situato lungo il muro di cinta della cosiddetta “Villa Guidino”, sul ciglio di una collina morenica; si tratta di una roccia serpentinosa, uno dei tanti massi erratici che durante la Glaciazione Würm -ovvero la glaciazione del quaternario- proverrebbe dalla Valtellina, a differenza di altri è quello più distante dall’area valtellinese; difatti, comparando la tipologia di pietra pare che giunga dal Gruppo del Disgrazia, o dalla Valmalenco. È di notevole interesse scientifico e didattico in quanto è uno dei massi erratici più meridionali, a pochi chilometri dal capoluogo della provincia di Monza e della Brianza, ed è la testimonianza dell”espansione massima dei ghiacciai verso meridione. Oggi la roccia -che come detto è un masso erratico e non di origine astrale, come invece narravano le leggende dei Celti che lo veneravano come area santuariale- è visibile percorrendo la strada privata che costeggia il muro di cinta, verso il cancello della villa.